Sveva Angeletti \ ! \ 2020 Roma

 

 

L’opera si compone di 7 lettere tridimensionali realizzate in legno, che disposte nello spazio, sono legate tra di loro dal filo della corrente, che aiuta lo spettatore alla lettura: S P A R A M I. L’impianto elettrico fa lampeggiare le 103 lampadine all’unisono, producendo un abbaglio luminoso intermittente ed un effetto sonoro simile ad un ticchettio. In un primo step l’appariscenza dell’insegna lampeggiante, attrae lo spettatore; in un secondo step, lo spettatore legge la scritta e dopo aver letto “sparami”, è disorientato dalla triste appariscenza dell’esortazione resa in modo ludico e accattivante. L’installazione è percorribile, quindi camminando attorno alle lettere, lo spettatore sente il ticchettio del lampeggiare, e può vedere l’impianto elettrico non celato delle lampadine nella parte posteriore delle lettere, che contribuisce ad esporne l’aspetto fatiscente. L’opera è nata dall’esigenza di raccontare la periferia romana di Tor Bella Monaca, ma raccoglie in sé un’esperienza comune a tutti quei luoghi abbandonati a loro stessi. Si tratta di luoghi fatiscenti e allo stesso tempo attrattivi che, come parchi gioco mantengono nel profondo un magico folclore.


 

 

 

a cura di Porter Ducrist

15/02/20 /// 7/03/20

Sveva Angeletti, Alessandra Cecchini, Roberta Folliero, Guendalina Urbani

“[…] Il pubblico è immerso in un mondo che lo coinvolge ma gli impone il ruolo di semplice spettatore, una stranezza familiare che gli impedisce di interagire lasciandolo fuori da ogni dispositivo. Le opere sono attivate da loro stesse, si muovono, lampeggiano, parlano, in una ripetizione meccanica, non per forza lineare. Non è il pubblico che agisce su di esse, ma forse esse stesse che trasportano il pubblico da un’altra parte, un mondo delle meraviglie privo di ogni incantesimo. “Quando cade la magia, rimane la disinvoltura”, con le sue assurdità̀ e la sua poesia. Un mondo che paradossalmente trasuda di cinismo, ma dal quale emerge un relitto di poesia. Lo spettatore, confuso da quest’assurdità̀ ingenua quanto scientifica, è forzato a deambulare in mezzo alle opere. Non è lo spazio che è allestito ma il tempo di fruizione, ritmato dal casino sonoro e visivo prodotto dai lavori in mostra. Un paese magico dove, anche la stessa magia è capovolta in una “voragine” schizofrenica.  Lo spazio si trasforma in una sorta di parco d’attrazione smembrato, un grande vuoto nel quale la presenza è stata robotizzata, il tempo sembra fermo in un’inerzia senza via di uscita, un tempo diventato illusorio in una società̀ decaduta. Gli oggetti perdono le loro caratteristiche principali, mantenendo la loro funzione, questo ribaltamento ridefinisce il senso utile delle cose, per soffermarsi sull’effetto prodotto. L’ambiente animato da presenze meccaniche, si trasforma in una grande catena caotica, nella quale è rimasto solo un vecchio sogno d’infanzia, una purezza giocosa. Lo spettatore diventa passivo, è un semplice visitatore che attraversa un tempo senza poter esserne partecipe, un alienato, messo da parte da un ritmo irregolare ma perpetuo.

“Quando cade la magia, rimane la disinvoltura” è un giusto “corso delle cose”. Il tempo viene contenuto in un cerchio senza fine, l’individuo si perde in un infinita ripetizione. Quello che rimane alla fine di questa lunga storia è quello che ne è stato prodotto. Un bellissimo sogno di cui rimangono solo frammenti sparsi e dispersi nello spazio espositivo”.

Exhibition view




Studi per “!” 40 x 40 cm acrilico su legno 2020